La riflessione domenicale

Pubblicato giorno 19 marzo 2022 - In home page, In primo piano, Riflessione domenicale

III Domenica di Quaresima – C –

Letture: Es 3,1-8.13-15 /Sal 102 /1Cor 10,1-6.10-12 /Lc 13,1-9

Fede: accettare di farsi strumento di Dio.

   Chiedono a Gesù un commento su fatti di cronaca: un incidente mortale in un cantiere edile, un massacro perpetrato da un dittatore, Pilato…

Si è davanti al tragico. È facile lasciarsi prendere dallo sconforto o dalla rabbia. Si può stare a domandarsi il perché per tutta la vita. Oppure si può domandarsi come affrontare il male e come vivere ciò che accade ogni giorno. Il come si affronta il male non è indifferente: un modo non vale l’altro.

Un classico per capire come Dio insegna ad affrontare le cose avverse è la 1^ lettura: la chiamata di Mosè. Sullo sfondo c’è l’oppressione che il popolo patisce in Egitto.

In un primo momento, Mosè aveva agito d’impulso. Con foga giovanile aveva ucciso ed ora era in fuga, ben lontano dal problema e deciso a starsene fuori.

   Vediamo che la salvezza viene da Dio ed è puro dono. L’azione di Dio è un ricominciare da capo, continuo, ostinato. La sua apparizione è improvvisa. Mosè non stava andando in cerca di Dio: pascolava il gregge. È Dio che si presenta a lui inaspettatamente. Con un segno attira l’attenzione: un cespuglio arde senza consumarsi. Preso dalla curiosità, Mosè lascia il gregge e va a vedere. Il prodigio attira l’attenzione ma è subito dimenticato. Scopo del prodigio è di attirare l’uomo verso qualcos’altro, verso la presenza di Dio e il suo messaggio.

È sempre Dio che inizia il dialogo. Se Dio interviene è per fedeltà ai padri e per compassione della gente: Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido. Dio è fedele e compassionevole. Non è mai indifferente di fronte alla sofferenza di un popolo che grida per la violenza che subisce. Il popolo oppresso non ricorda più il suo Dio, è Dio che ne interpreta il lamento. Il popolo grida, non prega.

L’oppressione è una situazione che, anche se non si trasforma in preghiera e invocazione, giunge alle orecchie del Signore. Il Signore non può restare indifferente di fronte al dramma del suo popolo.

   La sua risposta al lamento del popolo è di scegliere qualcuno che si prenda a carico la situazione. Dio ha bisogno di strumenti. Fede è anche accettare di farsi strumento e di prendersi a carico il popolo oppresso.

Dio è fedele. Dice di essere il Dio dei padri. Ricorda le promesse fatte ai patriarchi, nonostante sembrasse averle dimenticate. Dio chiama Mosè in un momento in cui Mosè è debole e povero: un fuggiasco, il meno adatto a presentarsi al faraone. La missione di Mosè viene posta sotto il segno della fede, che è un “fidarsi di Dio” e non di sé stesso. È una missione difficile di fronte alla quale l’uomo sente tutta la paura dei propri limiti. Ma la debolezza dell’uomo è colmata dalla potenza di Dio: Io sono con te. Dio non lascia solo chi chiama, ma fa la strada assieme. Il Dio della Bibbia è compagno di viaggio.

Siamo partiti con la domanda: Come affrontare le avversità… Bisogna prima di tutto verificare a chi e a che cosa abbiamo agganciato la nostra vita. Quando il tragico incombe, solo il Signore ha parole di vita eterna. Solo Dio può dire qualcosa al di là delle parole degli uomini e dei media. Solo accompagnati da lui possiamo comprendere che morte e vita, presente e avvenire sono nelle sue mani. Convertirsi vuol dire cambiare pensiero su Dio, ossia “pensare-oltre”. Ci è dato il tempo per accorgerci delle intenzioni di Dio nei nostri riguardi. Solo quando ci si accorge di questo si evita il rischio di una vita improduttiva… Pensiamo al fico infruttuoso dal quale, però, il divino agricoltore spera ancora di avere frutti.