La riflessione domenicale

Pubblicato giorno 10 febbraio 2024 - In home page, In primo piano, Riflessione domenicale

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -B-

Letture: Lv 13,1-2.45-46 /Sal 31 /1Cor 10,31-11,1 /Mc 1,40-45

Il Regno di Dio supera ogni barriera.

   Stiamo seguendo con attenzione le prime azioni di Gesù, i suoi primi interventi in parole e opere quando inizia la missione. Dopo aver constatato la sua disponibilità totale a tutti i sofferenti che si affollano sulla porta di casa, vediamo anche un lebbroso. Si avvicina e contravviene alle regole molto severe del Levitico, che prescriveva l’allontanamento. Ma anche Gesù disobbedisce a quelle regole: si avvicina, sente compassione, tende la mano e tocca il lebbroso. Questa volta mostra l’atteggiamento di Dio in modo importante e inequivocabile: Dio prova amore e compassione. L’antica legge spietata della separazione è annullata.

Per capire che cosa significa la guarigione di un lebbroso, occorre aver presente la 1^ lettura: Egli è impuro. Vive segregato e la sua dimora sia fuori dal campo finché avrà nel corpo la piaga. Il lebbroso era un impuro, colpito da Dio e causa d’impurità. Il fatto importante è che Gesù tocca un intoccabile. Vuol dire che il Regno di Dio non tien conto delle barriere del puro e impuro: le supera.

Non esistono uomini da accogliere e uomini da evitare. Il lebbroso è la figura più drammatica di emarginazione, che vive ai confini tra il luogo della morte e qualche scampolo di vita. C’è un confine oltre al quale uno è condannato… e magari si autocondanna, si autoemargina. Chi lo tirerà fuori?

   Gesù è l’uomo dei dolori che ben conosce il patire (Isaia). È in grado di comprendere le nostre infermità (Eb) e noi ci avviciniamo con fiducia a una persona così: infatti Gesù ha compassione del lebbroso. La guarigione inizia qui, ancor prima di veder risanata la pelle. Il lebbroso si vede restituire la dignità di persona già per il gesto di Gesù che tocca l’intoccabile e si mette in relazione con lui. Il muro che lo separa da tutti, anche da Dio, si trasforma in porta che si apre all’amore di Dio per lui.

Perché questo accada, occorre dare un nome al bisogno che sentiamo dentro, al problema o al dramma che mi abita, e non aver paura di fare il passo verso il Signore. Se accetto di “venire a Gesù”, scopro che nulla è definitivamente perduto. In tutta umiltà, davanti a lui, devo dare un nome alla mia lebbra: si chiamerà egoismo, paura e sfiducia, scontentezza, peccato? Poco importa! Se vuoi puoi guarirmi!

   Da sottolineare, in questo racconto di miracolo, è la fede. Quando l’uomo prende coscienza della sua situazione (dalla quale non può uscire) e si affida (di conseguenza) alla potenza di Gesù, c’è la fede: Lo supplicava in ginocchio e diceva: Se vuoi, puoi guarirmi!

Il miracolo diventa un insegnamento / una lezione, che cioè la salvezza non è opera dell’uomo, ma regalo di Dio. E insegna inoltre che il miracolo non è mai fine a sé stesso e neanche a beneficio solo del miracolato, ma è un “segno” per tutti. In più è anche una “testimonianza” perché sia offerta la possibilità di riconoscere il Signore Gesù: Presentati ai sacerdoti e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro.

   Il regno di Dio è la porta della vita. È fidarsi di Dio e Dio non vuole certo il male. La segregazione del lebbroso non era volontà di Dio, ma frutto della paura degli uomini. Il peccato può insozzare la somiglianza con Dio, ma non scalfire l’immagine vera di Dio da lui messa nell’uomo.

Lebbroso sì, ma figlio; peccatore sì, ma figlio. Così il lebbroso guarito diventa missionario: non può fare a meno di gridare ciò che gli è accaduto. Gesù, ti supplico risanami, purificami! Tu sei mio rifugio. Tu mi liberi dall’angoscia.