La riflessione domenicale
Pubblicato giorno 16 agosto 2024 - In home page, In primo piano, Riflessione domenicale
XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -B-
Letture:
Pr 9,1-6 /Sal 33 /Ef 5,15-20 /Gv 6,51-58
Ci disseta coi fatti e le sue parole nutrono.
La Sapienza, chi è? La saggezza biblica, una fantomatica figura o la Parola di Dio? Certo è che i suoi insegnamenti sono come cibo per vivere e bevanda dissetante. Gli inesperti sono invitati a nutrirsi di sapienza del vivere. L’inesperienza porta a sbagliare, ma che dire quando (purtroppo) si ricade di nuovo nei soliti errori? Niente paura! Si può sempre rimediare ricorrendo agli insegnamenti della Sapienza.
Abbiamo sentito dalla lettera agli Efesini: Fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi. Bisogna proprio imparare anche dagli sbagli e, soprattutto, nutrirsi di parole sagge, di proverbi sapienti, di insegnamenti buoni e disinteressati… come quelli che vengono dal Signore e anche dagli uomini (con la dovuta cernita!).
La nostra vita dipende da qualcosa di esterno come tutto ciò che si mangia e si beve. Nutrirsi bene è cosa che si impara: a volte si mangia troppo e male o si riempie sempre delle stesse cose sia lo stomaco sia la mente. Si può cadere in dipendenze malsane di cibi e bevande e non solo… anche di slogan vuoti e non veritieri. Ancora dalla lettera agli Efesini: non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé.
Per nutrirsi, di solito non si mangia da soli, ma si prendono i pasti in compagnia, perché ci si nutre anche della presenza e della conversazione degli altri. Quando Gesù dice “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”, intende che possiamo nutrirci della relazione con lui.
La mia carne è cibo: Gesù intende che la sua umanità e le sue parole possono nutrire. Il mio sangue è vera bevanda: intende che il suo sangue è la sua vita donata. Gesù disseta coi fatti e coi suoi gesti pieni di vita.
Le persone danno la loro carne e il sangue quando ci danno un pezzo della loro vita. Viviamo infatti grazie alle persone che si donano per noi: è il coniuge, un genitore, un educatore o un catechista, un parroco o un membro della comunità.
Ci si accorge se uno per noi “fa delle cose” o se dona un pezzo della sua vita: nel secondo caso ci si sente appagati, saziati e consolati dall’incontro. Nell’eucaristia Gesù ci nutre di sé stesso: non fa una cosa per noi. Non dice: Io vi do il pane della vita, dice: Io sono il pane vivo.
Se mangiare vuol dire dipendere dal cibo, nell’eucaristia si impara a dipendere da Gesù. Dipendere da Gesù è fede, come Gesù dipende dal Padre: lui vive della relazione col Padre e noi della relazione con lui.
Che nutre non è il numero di comunioni che facciamo, ma la relazione vera e seria che abbiamo con Gesù.
È la relazione sana che fa vivere. Sono le relazioni malate che avvelenano.
Ci sono modi di vivere la fede che fanno star male: come quando uno si sente sempre in colpa, anche dopo la confessione. Non ha fede in Gesù e nel Dio misericordioso.
Quando un cristiano sta a giudicare il fratello, ha fede malata.
Cerchiamo la fede sana. Chiediamo la Sapienza in dono, con umiltà e perseveranza.