La riflessione domenicale

Pubblicato giorno 21 marzo 2025 - In home page, In primo piano, Riflessione domenicale

III DOMENICA DI QUARESIMA -C-

Letture:

Es 3,1-8.13-15 /Sal 102 /1Cor 10,1-6.10-12 /Lc 13,1-9

L’amore trasfigura la persona.

   Le persone attorno a Gesù si mostrano molto sensibili alle disgrazie che succedono. C’è stato il crollo di una torre del tempio, il muro forse era pericolante o una scossa di terremoto ha dato il colpo di grazia… 18 morti!

Una rappresaglia è stata ordinata da Pilato su pellegrini provenienti dalla Galilea, uccisi mentre erano in corso delle cerimonie religiose come ammonimento alla lotta di resistenza ai Romani in quella regione.

Di chi era la colpa? Come sempre si cercano i colpevoli, o i capri espiatori.

Gesù, interpellato, delude un po’. Le vittime non erano colpevoli più degli altri tanto da attirarsi un castigo – dice Gesù -, ma succederà altrettanto a voi se non vi convertirete.

In altre parole, il male non va ricercato fuori di noi, nelle persone che peccano e neanche in una punizione di Dio. C’è sempre l’idea (sbagliata!) di Dio che castiga, perché Dio ama, è benevolo, è misericordioso. Siamo noi vendicativi e pronti a invocare punizioni esemplari su rapinatori, femminicidi, ecc.

Coloro che sono vittime non sono peccatori più degli altri. Avranno i loro sbagli, ma non più degli altri.

Se mai si può dire che i malfattori si puniscono da soli diventando violenti, ingiusti, ladri…

Tragedie e disgrazie che arrivano, siano esse sociali o personali, non sono affatto punizioni di Dio. Come, in tempi recenti non sono state punizioni le alluvioni, il Covid… anche se non sono mancati i predicatori che lo hanno affermato.

Gesù ci mette in guardia dalla tendenza a pensare che le disgrazie sono una conseguenza immediata dei peccati di chi le subisce. Gesù ricorda che le disgrazie che colpiscono il mondo e gli uomini non sono castighi di Dio.

Non c’è connessione tra sofferenze e peccato. Tutto il Vangelo ci dice e ripete, instancabilmente, che Dio è amore.

Ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo.

È il rifiuto a convertirsi la causa della nostra condanna, non è il nostro peccato. Il rifiuto a convertirci, cioè non deciderci a entrare in un altro ordine di idee… il rifiuto a imprimere una svolta decisiva al nostro modo di pensare e di vedere noi stessi e gli altri.

Conversione vuol dire guardare la realtà con occhi diversi e orientarsi di più secondo pensiero di Dio e secondo il suo cuore. Finché non lo faremo, rischieremo di perire tutti allo stesso modo, non sarà detto per un terremoto né per un bombardamento, ma per i comportamenti che l’umanità continua ad avere.

Non sarà certo Dio che ci distruggerà, siamo noi che andiamo in rovina.

La pazienza e la bontà del Signore si vedono nella parabola. Noi siamo alberi da frutto che Dio protegge e coltiva con cura.

Ha pazienza anche quando resta deluso per i frutti scarsi: frutti di opere di fede e di bontà. Ma il padrone è il Padre e l’agricoltore è il Figlio: il Figlio alla fine convince il Padre ad aspettare. Prima di tagliare l’albero improduttivo, vuol coltivarlo ancora e provare a vedere se darà risultati.

L’esito rimane aperto: Vedremo se porterà frutti per l’avvenire, se no lo taglierai.

C’è possibilità che la nostra vita porti frutti, frutti di Vangelo. C’è aspettativa che la vita fruttifichi.