La riflessione domenicale
Pubblicato giorno 25 aprile 2025 - In home page, In primo piano, Riflessione domenicale
DOMENICA II DI PASQUA -C-
Letture:
At 5,12-16 /Sal 117 /Ap 1,9-11.12-13.17-19 /Gv 20,19-31
Il gemello di Tommaso è ognuno di noi.
Credere non è automatico: lo si vede anche nei primi discepoli.
Credere non è immediato… come accendere un interruttore. Non ci si fida immediatamente: tutto passa attraverso dubbi, domande e incertezze.
I racconti delle apparizioni del Signore risorto descrivono discepoli che fanno fatica a credere, che sono presi dalla paura e dal dubbio.
Scopo di questi racconti delle apparizioni è darci esempi nei quali rispecchiarsi.
La nostra Chiesa è un cenacolo con porte chiuse per la paura. Eppure in questo cenacolo Gesù ha consegnato la sua vita (… e l’ha consegnata anche all’amico che lo tradiva).
In questa comunità Gesù ha parlato nell’intimità delle relazioni, eppure questo luogo resta chiuso… mentre la tomba di Gesù, al contrario, è aperta.
Allora Gesù non si rassegna alle nostre paure. Entra nonostante le porte chiuse, sta al centro, nel luogo che gli spetta e che tante volte gli togliamo.
Si appropria del posto centrale che tante volte abbiamo dato ad altri… o del quale ci siamo appropriati noi.
Le prime parole di Gesù sono: “Pace a voi!”. Ripete tre volte questo saluto. Ma quanto è difficile accogliere questo dono, basta guardarsi attorno.
Nasce l’impegno per la Chiesa a portare perdono. Prima però deve trovare pace in sé stessa. Un cuore che non è capace di perdono non trova pace.
Nonostante l’incontro col Signore risorto, che ha attraversato le porte chiuse, otto giorni dopo quelle porte sono ancora chiuse.
La comunità è ancora abitata dalla paura e dalla sfiducia. Tommaso non ha tutti i torti a non credere che i suoi compagni hanno incontrato il Signore, se li vede ancora chiusi dentro in casa e pieni di paura.
Tommaso è detto gemello.
Non si sa il nome del gemello perché il gemello di Tommaso è ognuno di noi.
È uno che alterna fede e incredulità, un po’ non crede e un po’ crede, un po’ si allontana dalla comunità e un po’ ritorna. Nella mia incredulità, nella mia esitazione sono come lui.
Il cammino verso il riconoscimento di Gesù non avviene attraverso un’immagine bella, come quella dei pittori quando raffigurano il Signore glorioso.
Gesù si mostra ferito e piagato.
Ci insegna che le ferite della nostra vita non sono inutili, dicono chi siamo, raccontano la storia di ognuno.
L’amore deve partire da lì: dal riconoscere le ferite dell’altro.
Quando si ama non si ha bisogno di mettere il dito nelle piaghe continuamente. Si ama e basta.
Così col Signore: ci si fida e si è beati. Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto.